Vivere e studiare in Italia per uno studente straniero è sempre una grande sfida. Tra sogni, speranze, un mucchio di stereotipi e cliché, Özlem Demürezen, studentessa turca dell'Università di Catania, ci racconta la sua storia.
Özlem compie 22 anni oggi e viene da Istanbul, vive a Catania da tre anni e in Sicilia da quattro. Attualmente è iscritta al corso di laurea in Lingue e culture europee euroamericane e orientali all’Università di Catania, ma sogna di laurearsi presto, esplorare il mondo e soprattutto di diventare un’insegnante. Özlem è di natura allegra e, nonostante le difficoltà che comporta studiare in un Paese con una lingua completamente diversa dalla propria, ci racconta la sua storia con entusiasmo.
“È stato il destino ad avermi portato in quest’isola bellissima, piena di valori culturali e linguistici. Quando avevo quindici anni ho deciso di scoprire il mondo e grazie al programma Intercultura ho cominciato a viaggiare — racconta ai microfoni di LiveUnict — Sono arrivata a Palermo e sapevo che la Sicilia mi sarebbe piaciuta perché aveva due cose fondamentali per me: era un’isola, e io ho sempre desiderato vivere in un’isola. E aveva il mare. Non posso vivere in una città senza mare”.
Dopo aver abitato per dieci mesi a Palermo, ha deciso di non tornare a casa e di rimanere a studiare in Italia. Ha imparato da sola l’italiano, che oggi padroneggia molto bene, e ha scelto di studiare due lingue straniere: inglese e spagnolo. Per un caso fortuito, dal momento che avrebbe voluto frequentare il corso di Mediazione linguistica a Ragusa per stare più vicina alla famiglia che l’aveva ospitata, Özlem finisce invece a Catania a causa di un errore nel codice del corso di laurea. Nonostante quello sbaglio, oggi si dichiara molto felice di essersi ritrovata in una città come Catania.
“Quando sono arrivata per la prima volta a Catania mi sembrava una città triste e nera, forse per via dell’architettura. Poi, quando ho cominciato a viverci, ho scoperto che non era così. La trovo una città organizzata e pulita, almeno rispetto al resto della Sicilia. Mi piace molto perché è una città universitaria, piccola, accogliente e molto più tranquilla rispetto a Istanbul che ha 15 milioni di abitanti — ci dice raccontandoci invece di come, al contrario, la sua città sia sempre affollata e molto rumorosa a qualsiasi ora del giorno — Tuttavia penso che debba essere maggiormente valorizzata, soprattutto dai catanesi che sono i primi a farle cattiva pubblicità”.
Da studentessa di lingue, Özlem frequenta le lezioni e sostiene gli esami al Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena, sede del dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania. “Studio in un posto bellissimo — ci dice entusiasta — Ogni volta che vado al Monastero mi tranquillizzo, mi trasmette un senso di pace”. Tuttavia una splendida cornice, molto spesso, non basta per sopperire a tutto il resto e i problemi che una studentessa straniera deve affrontare sono dietro l’angolo: dalle difficoltà a integrarsi ai problemi con la lingua, dalla mancanza di supporti all’infinità di pregiudizi di cui ancora si rischia di rimanere vittime.
“Se dovessi spiegare in una sola parola come mi sono trovata a frequentare l’università in Italia, direi ‘sconvolgente’ — ci confessa dispiaciuta, parlandoci della sua personale esperienza all’università — Non so se è così anche per gli studenti italiani, ma per gli stranieri lo è di sicuro: quando ti iscrivi a un corso di laurea sei completamente abbandonato a te stesso e, dal momento che spesso, quando arriviamo in Italia, noi stranieri non abbiamo conoscenze linguistiche e culturali adeguate, è veramente difficile cavarsela senza un punto di riferimento”.
“Sarebbe bello avere un tutor personale o poter frequentare dei corsi di preparazione, ad esempio — continua, raccontandoci di aver già fatto presente il problema per aiutare anche i futuri studenti che, come lei, sceglieranno di venire a Catania a studiare — Quando uno studente sceglie di trasferirsi e studiare fuori, prima di tutto s’informa sui servizi che l’università propone, e se il nostro ateneo mettesse a disposizione molti più servizi e agevolazioni, sicuramente attirerebbe più studenti, sia stranieri che di altri atenei italiani”.
Nonostante Özlem sia una ragazza molto socievole e piena di amici, infine, non sono mancati alcuni episodi spiacevoli che denotano, anche all’interno di un contesto dinamico e aperto come quello universitario, una diffusa e preoccupante mancanza di sensibilità e di informazione. Un problema che riguarda moltissimi giovani studenti ma anche, e soprattutto, alcuni professori che, al contrario, dovrebbero essere i primi — specialmente quelli di un corso di laurea incentrato sulle culture straniere — a scardinare certi stereotipi insegnando agli studenti la capacità di guardare alle culture altre, dimenticando schemi mentali e luoghi comuni.
“Sono stata vittima di pregiudizi quando sono arrivata, e ancora lo sono dopo tre anni — ci racconta infatti Özlem — C’è molta ignoranza su alcune questioni. Ad esempio, mi chiedono spesso se in Turchia siamo obbligati a mettere il burqa, ma il nostro è un Paese laico: ognuno si veste come si vuole e nessuno viene giudicato se è religioso o meno. Oppure capita spesso che la gente pensi che io parli arabo. Anche all’università, una volta, una professoressa vedendomi scrivere con l’alfabeto latino, si è meravigliata e mi ha chiesto se per me fosse stato difficile impararlo. Le ho risposto che in Turchia utilizziamo l’alfabeto latino da un centinaio di anni”.
Quello che, infine, dispiace di più a Özlem è la totale assenza di curiosità nei confronti di mondi diversi dal proprio, soprattutto in tutti quegli studenti che non hanno mai avuto esperienze all’estero. “Non vedo alcun interesse a conoscere il mondo, nemmeno nei ragazzi che studiano lingue e culture straniere e che, al contrario, dovrebbero essere i primi ad averlo. Solo chi ha fatto l’Erasmus spesso capisce cosa vuol dire essere uno straniero in un altro Paese. Siamo umanisti, ma credo che prima di tutto dovremmo essere più umani. Il Medio Oriente oggi è poco conosciuto, bisogna guardare oltre la televisione, oltre i telegiornali”.
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