Il Sunday Times lo ha chiamato “lo Stephen King italiano”, inserendo il suo romanzo tra i cinque non inglesi più interessanti del momento. Lo scrittore salernitano Antonio Lanzetta ha raccontato a LiveUniCT com'è vista la scrittura in Italia, cosa significa crescere con i propri lettori e qual è il peso di certi paragoni.
Ancor prima d’essere accostato a mostri sacri della letteratura mondiale, o delle lodi tessute dalla critica e dei tour promozionali per i suoi libri, Antonio Lanzetta si vede come un lettore vorace.
Dalla Campania per la prima volta a Catania, per presentare la sua ultima fatica, “I figli del male” , in un pomeriggio un po’ troppo caldo per la stagione. Con un sorriso sulle labbra parla dei suoi inizi, del primo libro preso in mano quando aveva ancora undici anni. “Un’insegnante delle scuole medie ci obbligava a leggere un libro al mese, preso dalla biblioteca della scuola. Io presi questo libro, La spada di Shannara di Terry Brooks, un fantasy”– racconta lo scrittore. Nel giro di qualche anno quella passione sviluppata per la lettura si sarebbe trasformata in una “necessità”, la stessa che lo ha spinto a tentare prima di emulare i suoi autori preferiti per poi tentare di trovare la propria voce e buttarsi nel campo della letteratura per ragazzi.
“Scrivere romanzi di quel genere mi ha permesso di entrare in contatto con lettori giovanissimi”, continua Lanzetta quando gli si chiede cosa lo abbia spinto a intraprendere un cambio di rotta dal fantasy al thriller. “Con il tempo i miei lettori sono cresciuti, così un quindicenne che leggeva Warrior adesso ha vent’anni e legge Il buio dentro e I figli del male. Si è creata una sorta di connessione tra me e i lettori perché siamo cresciuti assieme”.
Da ambientazioni surreali o futuristiche, Lanzetta è passato alle realtà delle province italiane, le stesse così spesso protagoniste della cronaca nera nazionale. Perché il male è più presente e fa più paura proprio dove non ci si aspetta di trovarlo. I riferimenti alla criminalità organizzata sono presenti nei suoi lavori più recenti. “Fa parte dell’humus della natura dei luoghi, che sono contaminati da questa forma di fare delinquenza – spiega l’autore. Sarebbe impossibile descrivere un territorio concreto escludendo quelle che sono, purtroppo, le sue parti. È normale che poi i luoghi comuni ci siano, ma credo che ormai non riguardino più le singole regioni ma l’intero paese, perché la criminalità assume vari volti e si può chiamare in vari modi, ma la spietatezza e il modo di sovvertire il sistema è lo stesso ovunque: a Napoli, a Palermo e a Milano”.
La sua scelta di mantenere la nostra penisola intatta, senza levigarla o abbellirla, scremare tutti quei dettagli che la rendono piena di cicatrici come i suoi personaggi, però, ha premiato il giovane autore che nelle scorse settimane ha avuto modo di confrontarsi con il pubblico francese. Ospite del Quais du Polar a Lione, Lanzetta è stato testimone di come la letteratura italiana sia ancora viva e piena di attrattiva per i lettori d’oltralpe. “I francesi hanno un interesse particolare per l’Italia” – racconta, fresco dell’esperienza del festival.
“Noi abbiamo una scuola di scrittura che all’estero è apprezzata più di quanto avviene nel nostro territorio – continua Lanzetta. La cosa che mi ha colpito in generale di questa esperienza francese è stata l’entusiasmo dei lettori a incontrare gli autori”. Tra sessioni di firma copie infinite, conferenze e presentazioni per rassegne cinematografiche (con sale stracolme alle 10 di domenica mattina), Lanzetta ha notato come a essere diversa sia anche la considerazione che si ha del mestiere dello scrittore. “C’è quel rispetto del ruolo dello scrittore che è molto bello. Ti capita che qua in Italia vieni sempre sminuito, o comunque trattato con superficialità; all’estero non è così, almeno per quello che ho visto io in Francia”.
E a proposito di Quais du Polar, chiunque abbia avuto la possibilità di trovarsi sul posto o di vedere foto dell’evento avrà notato come quell’inaspettato “le Stephen King Italien” si sia intrufolato un po’ ovunque. Per lui è stato un po’ come “accostare una persona comune a una divinità”, forse un po’ più d’aiuto ai librai in fase di vendita che alla sua carriera. Ciò che desidera è che il suo stile venga riconosciuto, che chiunque legga una pagina qualsiasi di un suo libro sia in grado – senza aver letto il titolo o aver visto la copertina – di dire “questo è Antonio Lanzetta”.
Ma King rimane una grande costante nella sua vita, sia come scrittore che come lettore. Quando si parla di consigli per la scrittura, Lanzetta cita il re dell’horror e la sua “cassetta degli attrezzi”, sottolineando che “non si può assolutamente pensare di scrivere senza leggere”. E ai giovani aspiranti scrittori, ricordando d’esserne stato uno lui stesso, chiede di non trascurare il fattore dell’autocritica. “Essa permette di limitare gli sbagli che si fanno con superbia e narcisismo, perché si è convinti di essere qualcosa per la quale magari non si è portati e non si sta facendo altro che sprecare tempo. Ognuno di noi ha un talento nascosto e l’autocritica ci può aiutare a tirare fuori questo talento, ad aprire gli occhi e se siamo effettivamente portati per la scrittura o la pittura, la musica oppure no. Ognuno ha una strada e deve imparare ad ascoltare il proprio cuore per capire qual è quella giusta”– conclude lo scrittore.
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