Uno studio dell'Università di Catania dimostra come, nelle nostre vite, la fortuna conti più di quanto pensiamo. Il talento? Da solo non è sufficiente per raggiungere il successo.
“Certo che la fortuna esiste. Altrimenti come potremmo spiegare il successo degli altri?”: Jean Cocteau, finissimo intelletto francese, agli inizi del secolo scorso, scriveva così, palesando forse un malessere e un’amarezza che spesso in molti condividono. Avere talento, nella vita, non basta: è una frase che si dice spesso, ma forse i motivi che risiedono dietro questa piccola verità sono più seri di quanto pensiamo
In Italia, si sa, i mediocri hanno spesso la meglio sui più meritevoli, in un sorpasso che avviene in qualsiasi ambito della quotidianità – dalla scuola alle relazioni sociali, dall’università al lavoro – a causa di un sistema non perfettamente meritocratico. Al di là dei problemi che affliggono il nostro Paese, però, sembra che più in generale essere meritevoli nella vita non sia sufficiente per avere una vita e una carriera appagante.
Uno studio dell’Università di Catania, pubblicato di recente, sembra confermarlo. Messa a punto da tre studiosi – Alessandro Pluchino, Andrea Rapisarda e Alessio Emanuele Biondo – la ricerca s’intitola “Talent vs Luck: the role of randomness in success” e, sviluppando un modello matematico, si preoccupa di simulare un ipotetico percorso di carriera (nell’arco di circa 40 anni) di gruppo di persone che vengono influenzate, positivamente o negativamente, dalla sorte.
Facendo una separazione tra coloro che possiedono talento (intelligenza, capacità, determinazione) e tra coloro che rientrano nella media, e colpendoli con eventi favorevoli o sfavorevoli in modo del tutto casuale, i risultati dimostrano come la fortuna giochi una grandissima parte nella vita di tutti noi. Per ‘fortuna’, chiaramente, si intende un numero infinito di fattori che, a partire dalla nostra nascita, influenzano le nostre vite: il Paese di appartenenza, la famiglia, le possibilità economiche, ecc.
In particolare, lo studio si occupa di dimostrare come la società occidentale sia caratterizzata da quella che i tre studiosi definiscono una vera e propria “meritocrazia naïve”, ovvero la profonda e infondata convinzione che il successo sia esclusivamente legato a qualità come abilità, forza di volontà, duro lavoro, intelligenza. Una convinzione che, forse, serve anche per giustificare e mal celare, in maniera politicamente scorretta, le ingiustizie che, quotidianamente, affliggono le nostre società.
In realtà, dalla ricerca catanese emerge che non è esattamente come pensiamo, e risulta che il talento – unito a tutta una serie di qualità distintive – è certamente necessario per avere successo ma che, quasi mai, i più intelligenti (dove per intelligenza s’intendono una serie di caratteristiche che vanno dal quoziente intellettivo, alla sensibilità e alla personalità) hanno esiti migliori degli altri. Anzi, facendo un breve calcolo statistico e numerico, poiché il l’eccellenza è più rara della mediocrità, pare che la buona sorte colpisca molto più frequentemente i meno capaci e più raramente i meritevoli.
Chiaramente, sottolineano gli studiosi, lo scopo della ricerca non è quello di dimostrare che lo studio, l’impegno e l’intelligenza non servono a niente. Senza dubbio, questi sono ottimi punti di partenza per tentare di costruire una vita costellata di successi o di soddisfazioni personali, ma attenzione a non sottovalutare il caso perché, da solo, il talento non basta. Per riassumere la questione, allora, una frase di de La Rochefoucauld ci sembra estremamente significativa: “La natura fa il merito e la fortuna lo mette in opera”.
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