Uno studio condotto dall’Istituto Indire e commissionato dall’Istituto Piepoli racconta le impressioni positive di studenti universitari e docenti che partono per Erasmus plus.
Uno studio sulle attività Erasmus per gli studenti universitari, promosso dall’istituto Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa del Ministero dell’Istruzione) e commissionata dall’istituto di ricerca Piepoli, racconta i vantaggi per gli studenti e futuri lavoratori che intraprendo i viaggi studio in uno dei paesi dell’Unione europea. La ricerca è estesa anche agli insegnanti che partecipano a scambi di formazione e di affiancamento in aula per confrontare metodi didattici e perfezionare la lingua, con un incremento di 909 insegnati partiti nel triennio 2014 – 2017 (1.653 utenze nel 2014, sono saliti 2.562 nel 2017).
Nello specifico il programma si chiama Erasmus plus ed è il programma europeo per l’istruzione e la formazione di giovani studenti, con viaggi finanziati da borse di studio per un periodo di tempo definito, in uno dei paesi europei. A partire lo scorso anno con Erasmus+ sono stati 41.487 studenti universitari. L’indagine è stata fatta su un campione di 1.412 giovani dai 25 ai 30 anni (74%): 702 hanno partecipato al programma di mobilità all’estero dal 2007 al 2014; l’altra metà (710) non ha partecipato.
I vantaggi al rientro vanno dalla “Crescita personale”, afferma il 98%, con particolare attenzione all’acquisizione di migliori capacità linguistiche (55%), all’apprendimento di metodi di studio non presenti nel paese d’origine (31%), alle relazioni instaurate con altre culture (19%) e alle competenze specifiche acquisite (19%).
Chi non parte invece lo fa perché non ha abbastanza tempo tra un esame e un altro (34%), non trova attività interessanti rispetto ai suoi studi (16%) e chi dice che è rimasto a casa per mancanza di informazioni sui programmi europei (11%). Altri invece lo considerano un viaggio troppo dispendioso per le proprie tasche, considerando non abbastanza il sostegno ricevuto dagli enti preposti.
Le differenze fra i due gruppi si fanno evidenti quando si parla di disoccupazione: a parità di età anagrafica e titolo di studio conseguito, nel campione degli studenti che non sono partiti si registra una maggiore percentuale di disoccupati (18% contro il 6%). Meno evidente invece la differenza tra gli occupati (42,8% contro il 43,4%).
L’analisi ha coinvolto anche 203 insegnanti che hanno partecipato all’Erasmus+ per le scuole e 201 colleghi che ne hanno fatto a meno. Il 97% di chi è partito dichiara si ritiene soddisfatto del periodo di mobilità all’estero, di cui il 96% ha migliorato le capacità linguistiche, il 28% ha appreso metodologie di insegnamento multiple, il 17% ha gradito il confronto con docenti stranieri. Il rapporto dello studio dichiara che i docenti partecipanti rispetto agli altri colleghi diventano più aperti al confronto e rientrano più motivati.
Queste esperienze di apprendimento all’estero, sia per alunni universitari che per docenti, incrementa da un lato le capacità linguistiche, con particolare attenzione alla lingua inglese, e dall’altro la coesione comunitaria europea.
Non si tratta dunque solo di acquisizione di capacità per un migliore futuro lavorativo, ma anche di esperienze dirette al coinvolgimento dei cittadini per una migliore appartenenza europea.
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