Lo stage di formazione è ormai una tappa fondamentale e quasi imprescindibile del percorso di formazione di ogni studente, sempre alla continua ricerca della necessaria esperienza spendibile sul curriculum. “Sarà più utile uno stage all’estero o uno in Italia?”: è uno tra i dubbi più frequenti che affliggono ogni aspirante stagista. Abbiamo chiesto, dunque, a due studentesse di raccontarci la loro personale esperienza in paesi molto diversi tra loro.
È inutile negarlo, in questa generazione di eterni stagisti il tirocinio formativo sembra ormai essere diventato una tappa obbligatoria, quasi vincolante, del percorso d’istruzione di ogni giovane studente. Che si tratti di un progetto convenzionato dall’università o che, al contrario, sia proposto da privati interessati alla formazione di eventuale personale, in effetti, lo stage è forse lo stratagemma più efficace per mettere in pratica ciò che si è studiato in aula, intrufolandosi pian piano nello spesso inaccessibile mondo del lavoro.
Sebbene troppo di frequente la pratica, in sé validissima, del tirocinio venga sfruttata dalle aziende per servirsi del lavoro non pagato di stagisti alla ricerca di esperienza, esso è forse anche di più il simbolo di una generazione volenterosa, che desidera mettersi alla prova, imparare e affacciarsi al mondo professionale. Rappresentanti di questa generazione di buona volontà sono, di certo, Agnese e Michela, due studentesse che hanno deciso di misurarsi in due differenti ambiti professionali, ma soprattutto in nazioni del mondo decisamente diverse tra loro: Israele e il Bel Paese.
In comune queste due studentesse hanno senz’altro lo spirito d’iniziativa, sentimento che ha condotto Agnese a Israele, a lavorare presso un acceleratore di start up, e Michela verso un’azienda emergente del Catanese che si occupa di editoria online. “Dovevo fare uno stage all’università per colmare un tot di crediti”, spiega nel dettaglio Agnese ai microfoni di LiveUnict, “ma non esisteva una partnership con quest’azienda in Israele. L’ho trovata io, ma non esistendo ancora la possibilità di svolgere stage in paesi extracomunitari, ho usufruito di alcune borse di studio libere a disposizione dell’ateneo”. Per Michela, invece, l’occasione di dedicarsi alla stesura di articoli di viaggio, sia in lingua italiana che in francese e inglese, si è presentata dopo aver risposto a un annuncio online, che l’ha portata ad accettare una collaborazione con un privato dell’editoria digitale a Catania. “Lo stage”, dichiara Michela, “era costituito da una fase di formazione iniziale, durante la quale sono state esplicate le basi e i consigli utili per svolgere il lavoro, e da una seconda tappa di pratica a tutti gli effetti sotto la guida costante di un tutor”.
Per quanto stimolante e altamente formativo, tuttavia, durante il percorso a ogni tirocinante capita spesso di imbattersi in qualche difficoltà, siano esse mansioni poco soddisfacenti come le fotocopie o un carico di lavoro particolarmente pesante. Per Agnese un ostacolo è stato indubbiamente la comunicazione: “l’intoppo maggiore è stato quello della lingua, dato che si parlava soltanto israeliano o una lingua asiatica, e, quindi, non conoscendo nessuna di queste due ci si rivolgeva in inglese soltanto a me. Ciò rappresentava un po’ un problema di comunicazione, venivano a mancare le informazioni quotidiane. Questa è stata forse la più grande difficoltà, non vuol dire che fosse un ambiente negativo, tutt’altro, c’erano, però, delle inevitabili barriere linguistiche”.
Per Michela, al contrario, la difficoltà maggiore stava proprio nel rapporto con i tutor e lo staff aziendale: “trattandosi in parte di telelavoro”, la stesura dei pezzi, infatti, veniva svolta da casa durante la settimana, “sono mancate le condizioni necessarie per instaurare una concreta relazione con i membri dell’azienda, mentre con le colleghe che, come me, hanno svolto e seguito lo stage per i due mesi previsti si è creato un rapporto di amicizia, senza che si volesse prevaricare una sull’altra”.
Da non trascurare affatto sono anche i contatti che si possono instaurare durante il periodo da tirocinante, contatti che potrebbero rivelarsi utili e agire in veste di “biglietto da visita” per la ricerca di un impiego in futuro. Non a caso proprio Agnese continua “In Israele è molto difficile passare da uno stage a un lavoro vero e proprio, perché bisogna avere un visto, quindi è burocraticamente molto complesso. Tuttavia, tornando in Italia, tramite un contatto avuto lì, mi è stato offerto un altro impiego in un’azienda di consulenza, dove ho poi effettivamente lavorato per l’anno successivo”.
Non ha avuto altrettanta fortuna Michela, che afferma “sebbene lo stage non fosse retribuito, mi fu detto che esistevano reali possibilità d’inserimento in azienda, ma queste non si sono mai effettivamente concretizzate. Nonostante ciò, è stata un’esperienza di cui far tesoro, grazie alla quale ho potuto sviluppare potenzialità finora sottovalutate”. Sebbene, dunque, non tutti gli stage portino a ottenere un lavoro nell’immediato, tuttavia essi possono diventare un’occasione unica di formazione e di crescita, non soltanto da una prospettiva lavorativa ma anche, e prima di tutto, come persone.
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