
Il nostro Pianeta è un piccolo granello di sabbia in un deserto come l’Universo, ma essendone parte, ne siamo dipendenti. Non solo la nostra galassia, la nostra atmosfera, ma persino i nostri più fedeli – o quasi – compagni: gli smartphone, i PC e altri attrezzi dotati di circuiti elettronici. Ecco lo studio della “Vanderbilt University” di Nashville, in Tennessee (USA) sull’influenza delle particelle dei raggi cosmici.
Lo studio, dei ricercatori dell’Università di Vanderbilt, è stato presentato al meeting “dell’American Association for the Advancement of Science“, a Boston: studio inerente agli effetti e ai rischi dei danni causati sugli attrezzi elettronici da particelle; particelle prodotte dai raggi cosmici all’impatto con la nostra atmosfera.
Effetti e rischi innocui, di certo non nocivi all’uomo. Non nocivi solo direttamente. Lo dimostra un caso come quello del 7 ottobre 2008, quando un aereo in volo per Perth, in modalità “pilota automatico” passa da solo in modalità manuale. Ciò causa una gravissima perdita di quota dell’aereo, che scende di 210 metri in soli 23 secondi, causando gravi lesioni al personale e ai passeggeri, costringendo ai piloti di atterrare nell’aeroporto più vicino per i soccorsi medici.
La causa dell’anomalia – ovvero la disattivazione del pilota automatico dell’aereo – sono appunto queste particelle – o anche una soltanto – dei raggi cosmici che colpiscono l’atmosfera terrestre. I raggi cosmici possono dividersi in due tipi: originari/primari o secondari. I raggi cosmici originari sono quelli che si trovano fuori dalla nostra atmosfera – e alcune volte, di provenienza extragalattica, secondo gli studi di Giuseppe Cocconi – che all’impatto con l’atmosfera genera le particelle dei raggi cosmici secondari; quest’ultimi sono di doppia componente: quella molle è capace di attraversare solo pochi centimetri di assorbitore; quella dura è capace di penetrare spessori di materiali assorbenti di oltre un metro.
Le particelle di questi raggi cosmici sono, alcune volte, per noi, cause di molti eventi quotidiani: spesso mandano in tilt i nostri smartphone e in crash i nostri PC (basti pensare al “blue screen” di Windows). Su questi problemi, pure una particella può essere fondamentale, tanto da poter cambiare lo stato di un singolo bit e di conseguenza del dispositivo elettronico. Ma non è solo la particella a giocare il ruolo definitivo: l’altro problema è quello della vulnerabilità del dispositivo dinanzi a queste particelle.
La vulnerabilità è misurata in “failure in time” (fit), che nei transistor, un singolo fit, determina l’errore su un miliardo di ore di calcolo. Ora, questo, può diventare significativo, pensando che di questi transistor ne esistono miliardi su miliardi di dispositivi elettronici, alterano gli stati di questi; non solo, una particella potrebbe anche alterare notevolmente la carica della batteria necessaria degli smartphone, ad esempio.
Una soluzione preventiva dinanzi a questo fenomeno è quella della progettazione di circuiti ridondanti, come la tecnica usata dalla Nasa per le sonde spaziali (la triple modular redundancy approach), per la quale è possibile scoprire quale dei transistor è stato alterato; e anche dell’adozione di dispositivi Hi-Tech. Altre soluzioni, per le sedi di ricerca, sono quelle di murarsi con una parete di cemento spessa più di tre metri, onde evitare l’interferenza delle particelle.
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