Oltre ad una cospicua, seppur ristretta, presenza di persone clericali, prese parte alla ricognizione anche il prof. Nicoletti, ordinario di Medicina Legale dell’Università degli Studi di Catania, che vide e descrisse minuziosamente lo stato conservativo del teschio e del busto. In particolare, dopo il giuramento dei presenti, furono tolti i sigilli della calotta cranica dagli orafi nominati ed estratto il capo scheletrico della martire: “Il sacro capo veniva delicatamente poggiato su un vassoio, liberato dai veli che lo proteggevano e – scoperto – mostrato alla venerazione di tutti i presenti. Dopo l’attenta esplorazione del Prof. Nicoletti, il sacro teschio veniva portato per la Cattedrale, in modo da farlo osservare da vicino a tutti i presenti“.
In realtà, erano passati altri 48 anni dall’ultima ricognizione effettuata dall’arcivescovo cardinale Francica Nava, che l’8 aprile del 1915 il Bollettino Ecclesiastico così riportava: “la calotta conservava aderente al cranio la cotenna dì colore scuro, senza traccia veruna di capelli: e parte di pelle si è osservata dagli zigomi facciali in giù, ed anche parte di essa nella mandibola, la quale era staccata e trattenuta al teschio con due nastri di seta: l’uno antichissimo color rosa secca; l’altro rosso di epoca più recente. Rimanevano attaccati al teschio solamente alcuni denti molari di colore oscuro. Dalla testa vuota d’argento della statua di s. Agata, ove era collocata la s. reliquia, al riflesso di luce elettrica si è potuto osservare attentamente vari involti di colore bianco in cui indubbiamente devono essere conservati, come è memoria e tradizione, torace e viscere secchi, fatti in parte, ed ivi collocati quando fu fatto il simulacro. Essendo impossibile una ricognizione senza il guasto del mezzo busto d’argento, l’E. mo Arcivescovo ordinò che non lo si toccasse“.
Un importante e inedito particolare fu riportato dal Bollettino Ecclesiastico catanese, in cui dichiarava che “altre persone allora presenti ed ancora viventi, come il rev. mons. Maugeri, oggi priore della cattedrale ed il can. Giovanni di Giovanni attestano che un intenso soave profumo esalava dalle venerate viscere. Così il sac. Giuseppe Consoli-Zappalà allora viceministro del seminario arcivescovile e direttore della ‘Schola cantorum’, che era presente, attesta di essersi trovato fortuitamente vicinissimo al sacro Capo e di aver osservato in esso la presenza di capelli ondulati e aderenti alla regione destra“.
Ma i trascritti riportano anche una ricognizione, ancor più dettagliata e ricca di particolari, del 1797 quando all’epoca del vescovo Deodati Moncada il 9 luglio “si rinvenne il capo ancora integro, secca solamente la pellicina, gli occhi chiusi ed internati, integro il naso, essiccate le estremità, socchiusa la bocca, entro cui scorgevansi alcuni denti color neve; essiccate le orecchie con le estremità alquanto disgiunte, i capelli attaccati completamente alla pelle della cervice in guisa da potersi appena discernere. E fu giudicato che ciò era derivato dall’umido internato in quell’orifizio che divenne esso stesso corroso e scolorito, come pure il velo stesso aderente alla pelle annerita. Rimosso appena il capo dal busto, si vide una indistinta massa dei membri inariditi del torace e dei visceri della santa, chiusi nel tronco del busto medesimo, soavemente adornati“.
Rimasero esterrefatti i presenti dati gli oltre due secoli di perfetta conservazione e stato delle reliquie del busto Agatino, tanto da dichiarare “meraviglioso che, dai tempi del rev.mo mons. Giacomo Ramirez de Gusman, cioè dal 1501 sino a questi tempi, non esiste documento da cui risulti che quel sacro corpo sia stato visitato da altri vescovi e che quindi, dopo scorsi 296 anni e tre mesi, sia stato ritrovato nella stessa integrità e in quasi identico sembiante. E cresce assai più la meraviglia, conoscendosi che nel 1126 quel corpo della nostra Vergine e Martire nel trasporto da Bisanzio a Catania, per rimanere occulto, fu fatto a brani e non di meno è rimasto incolume ed incorrotto, essendo già trascorsi 15 secoli e 43 anni dal 5 febbraio 254 (sic. invece di 251), nel qual giorno l’invittissima concittadina ebbe in Catania la corona del martirio“.
Di seguito riportiamo alcune foto storiche che certificano le varie ricognizioni appena descritte, immortalando ciò che poi divenne storia.
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