Il live report dello spettacolo della band milanese tenutosi venerdì sera nel Castello ragusano.
“Il rock non morirà mai”. Questa è la citazione che può riassumere il concerto andato in scena ieri sera nell’incantevole cornice del Castello di Donnafugata. Sì, perché se gli Afterhours dopo più di trent’anni di onorata carriera, 12 album pubblicati e centinaia di concerti alle spalle riescono ancora ad incantare e “spaccare” letteralmente per due ore di fila facendo perdere la voce a tutti i presenti, allora mai frase risulta essere più azzeccata. Ma andiamo con ordine.
Passate le 22:30, si spengono le luci e con una distorsione dannata di fondo la band sale sul palco. Il live si apre con il nuovo album “Folfiri o Folfox”: alla struggente Grande, singolo fresco fresco di pubblicazione, seguono Ti Cambia il Sapore, Il Mio Popolo Si Fa e Non Voglio Ritrovare Il Tuo Nome. Come cominciare col botto, insomma.
Dopo è la volta delle prime bombette storiche: applausi (sia durante – a tenere il tempo – che a fine esecuzione da parte del pubblico) per La vedova bianca e Ballata per la mia piccola iena. Padania poi è la perfetta colonna sonora per una serata che potrebbe (ed in fondo è) un’opera d’arte: un quadro di quelli in cui la location (la maestosità del Castello di Donnafugata ha pochi eguali) ed il cielo (dominato da una luna che gioca con qualche nuvola passeggera) arricchiscono il bagaglio di immagini indelebili che ognuno di noi imprime nella propria mente.
A questo punto Manuel si avvicina al pubblico richiamando al silenzio: il tutto fa da incipit a uno dei momenti più caotici/fragorosi/potenti (e alti, personalmente) dello spettacolo in cui la combo formata da Male di miele e Centuximab si traduce in una vera e propria implosione del castello. L’odore della giacca di mio padre poi sembra essere la classica quiete dopo la tempesta (di suoni): quella banda di scalmanati formata da Roberto Dell’Era (basso), Rodrigo D’Erasmo (violino), Fabio Rondanini (batteria), Xabier Iriondo e Stefano Pilia (chitarre) che si era vista un attimo prima sullo stage è come paralizzata dalla profondità del pezzo di Agnelli che esegue il brano al centro del palco nel religioso silenzio creatosi all’interno della fortezza.
Prima dell’encore c’è ancora tempo per una scarica di adrenalina non indifferente: Bungee Jumping + La sottile linea bianca + Costruire per distruggere = estasi della folla.
Parlavamo di encore, saranno due: nel primo al classico “fuori fuori” del pubblico la band non tarda a risalire sul palco regalando pezzi ormai sacri della musica italiana quali Strategie e Non è per sempre. Da sottolineare anche Pop (una canzone pop) con annessa autocritica di Manuel che ammette come faccia quasi ridere riflettere sul testo di questa canzone scritta vent’anni fa in vista della sua prossima avventura in veste di giudice di X-Factor . Il secondo “di nuovo” invece si fa attendere, ma Quello che non c’è e Bye bye Bombay ripagano largamente i minuti di apprensione in cui ci si stava chiedendo se il concerto fosse davvero finito, mettendo la ciliegina su un live che nonostante qualche problema tecnico risulta sin qui uno dei migliori della stagione estiva siciliana.
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