UNIVERSITÀ – Un laureato su due è disoccupato: i dati di un’ Italia disorientata

Eccoci nuovamente a commentare i drammatici numeri della nostra Italia. Si, perché ormai ad ogni nuova statistica che possa testimoniare un qualche tipo di crescita o di prospettiva ottimistica per il futuro del nostro Paese, corrisponde soltanto una batosta uguale e contraria.


Stavolta si parla del pezzo di carta per eccellenza, quello che tutti gli studenti universitari si augurano di vedere alla fine del tunnel. La laurea, come sappiamo, è un traguardo di un lungo percorso di formazione, il frutto di un iter spesso travagliato, costellato di delusioni, ansie ed enormi sacrifici per gli studenti e le loro famiglie. In tempi sempre più distanti dal presente qualcuno avrebbe potuto affermare che tutte queste fatiche venissero adeguatamente ricompensate dalle opportunità e dalle possibilità derivanti dal possesso della pergamena. Attualmente, abbiamo la certezza che non è così.
A mettercene al corrente sono le statistiche ufficiali UE effettuate da Eurostat, che ci mostrano numeri abbastanza drammatici. Si tratta di dati aggiornati al 2014 e riguardanti ragazzi tra i 20 ed i 34 anni.

52,9%: è la percentuale dei laureati che trovano un lavoro entro tre anni dal conseguimento del titolo. E bè, verrebbe da dire che a occhio e croce non sembra poi così tragico, sono più della metà, uno su due. Peccato che la media rilevata nei 28 paesi dell’Unione Europea sia dell’80,5% e che il nostro “uno su due” sia nient’altro che un tristissimo penultimo posto, seguito, e questo la dice lunga, dall’ultimo posto della Grecia(47,4%). Prima in classifica, come prevedibile, è invece la Germania, con un inarrivabile 93,1%.

30,5 %: cambia il pezzo di carta, ma non la tragicità della situazione, che anzi è peggiore per i diplomati occupati a tre anni dalla maturità, a fronte di una media europea del 59,8 % e di un 67% della Germania.

40,2%: leggermente meglio per i possessori di diplomi professionali, un dato che segnala la tendenza ed il potenziale del nostro Paese in questo settore.

45%: è la percentuale complessiva dei giovani occupati nel campione sondato, un numero distante da quel 76% medio dell’Europa e dal 75,2% della Francia, lontano dall’83,2% del Regno Unito e lontanissimo dal 90% tedesco.

La domanda è: cos’ è accaduto? Tra il 2008 ed il 2014, infatti, se nel complesso l’Unione Europea ha sofferto un calo dei giovani occupati a tre anni dal conseguimento del titolo dall’82% al 76%, l’Italia ha registrato un vero e proprio crollo dal 65,2% al 45%. Possibile che la crisi economica abbia segnato l’Italia come una delle sue vittime più martoriate? Potrebbe darsi. Del resto, in Francia la percentuale è passata dall’83,1% al 75,2%; nel Regno Unito dall’83,6% all’83,2%; in Germania c’è stata addirittura una crescita, dall’86,5% al 90%.
I nostri problemi potrebbero anche essere dovuti alle modifiche nell’accesso alla pensione, che ha tenuto al lavoro la fascia di età più anziana. Ma, se un colpevole lo si vuole proprio cercare, forse bisognerebbe anche fare un po’ di autocritica. La situazione è, infatti, la diretta conseguenza di scelte politiche e sociali infelici operate da un Paese che non si cura dei suoi giovani.


Sfiducia. E’ il termine che, secondo i dati dell’associazione Donne e qualità della vita, esprime lo stato d’animo di un neo laureato su due in un campione di 1000 laureandi tra i 24 e i 28 anni. Ragazzi sfiduciati e rassegnati che progettano di lasciare il Paese alla fine dei loro studi. Giovani che cercano disperatamente una direzione e, in mancanza di un appoggio istituzionale, la trovano da soli. C’è infatti un altro numero a dir poco preoccupante. E’ il 46% dei diplomati del 2015 che hanno dichiarato ad Almadiploma di essere pentiti del percorso intrapreso dopo la terza media. E se il problema si pone già in terza media, immaginate come esso possa progredire successivamente, fino al fatidico momento della scelta di un ateneo.
Il risultato, triste a dirsi, è una nuova generazione completamente abbandonata a se stessa, in primis dalle istituzioni scolastiche e dagli organi di orientamento, che, in quanto a guidare le nostre menti più fresche, in questi anni hanno fallito e, purtroppo, continuano a fallire miseramente.

Daniele Di Stefano

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