Sono mesi ormai che l’ISIS terrorizza il Medio Oriente e l’Europa al grido di “Allah è grande” , parole che suonano più come vendetta nei confronti dell’Occidente infedele. Non possono essere le parole di una religione, di spiritualità, di valori e tradizioni. Al giorno d’oggi si constata un crescente culto della guerra, un fenomeno che acceca impedendo di distinguere il rispetto e la violenza. I ragionamenti “in soldoni” sono quelli che più possono ferire: qualche giornale intitola “Bastardi islamici” come se la responsabilità fosse di tutti e non dei fanatici.
I fanatismi ci sono sempre stati ed è difficile debellarli, così come gli stereotipi diffusi dal razzismo e dall’intolleranza. Non tralasciando i casi nostrani di manifestazioni legate a partiti politici che rifiutano la presenza dei migranti nei territori UE. Non si stanno mescolando problemi differenti, ma individuando gli elementi di un terribile circolo vizioso: tanti sono i Siriani che fuggono dalle zone sotto il controllo dell’ISIS.
#PrayforParis è solo uno dei centinaia di hashtag che in questi mesi si sono susseguiti per lanciare messaggi di solidarietà, forse “l’arma più bella” che l’uomo può mettere in pratica. I conflitti (forse quelli mondiali sono i più vivi e i più vicini nella nostra memoria) ci hanno insegnato che l’umanità, o meglio la pietà, può sparire dai cuori di chi brandisce strumenti di morte, siano essi kalashnikov o propagande.
A volte si tende ad osservare gli eventi, lontani nello spazio, eppure gli stessi terroristi scrivono su Twitter che le prossime mete sono Roma, Londra, Washington. L’allarme è scattato per il Giubileo che la nostra nazione sta preparando, ma è la paura dei comuni cittadini il sentimento più frustrante che testimonia il dramma di questi tempi. Fa un certo effetto l’hashtag #porteouverte: chi vive in una delle capitali più importanti al mondo deve aver paura di percorrerne le strade.
Durante la seconda guerra mondiale Parigi rischiò di essere distrutta dai Tedeschi attraverso una serie di ordigni posti nelle fogne che segnavano e segnano ancora tutta la città e allora fu la diplomazia a salvarla. Oggi il dialogo è ancora possibile?
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