Può un farmaco essere considerato un bene di consumo?

Probabilmente molti di noi non lo definirebbero mai in tal modo. Bisogna, tuttavia, prendere atto che, al giorno d’oggi, sono moltissimi i medicinali che si avvicinano a questa definizione. Si tratta infatti di prodotti che, alla pari di un qualunque genere alimentare, entrano quotidianamente nelle nostre case, dei quali facciamo un uso frequente, abituandoci perfino a tenerne una scorta in caso di necessità. Lo facciamo perché sono economici, in grado di darci pronto sollievo in caso di bisogno, perché sono indubbiamente efficaci e, soprattutto, perché li consideriamo sicuri.
Fanno parte di questo tipo di farmaci “domestici” un gran numero di specialità medicinali, ma la più accessibile ed utilizzata è sicuramente la classe degli analgesici, ed è all’interno di essa che troviamo uno dei farmaci più richiesti, il paracetamolo.

Questa famosa molecola sintetizzata nell’ ‘800, chiamata molto più spesso col suo nome commerciale di Tachipirina, è infatti l’analgesico più venduto in Italia, con circa due milioni ottocentomila confezioni vendute soltanto nel 2014. Dotato di una notevole versatilità in quanto a dosaggi e modalità di somministrazione e assumibile da tutti i palati e tutte le età, in quanto presente in compresse (classiche, effervescenti e dispersibili), ma anche in gocce e sciroppi e, soprattutto, in supposte di somministrazione pratica verso i bambini, questo principio attivo è di prima scelta quando si parla di alleviare febbre, mal di testa o sintomi correlati e, di conseguenza, parte integrante di tutti quegli altri farmaci che vengono usati (spesso già alle prime avvisaglie) nel caso di raffreddore o influenza. Il paracetamolo cura il dolore, e lo fa con effetti collaterali lievi o inesistenti.  Ciò lo rende sicuro.
Sono queste le informazioni che vengono fornite comunemente  su questa molecola.

Informazioni che, però, non sono state totalmente confermate da alcuni studi condotti negli ultimi anni. Nel 2011, presso l’Università di Nottingham, il reumatologo Michael Doherty, effettua uno studio su circa 900 pazienti over 40 affetti da dolore cronico al ginocchio, e quindi consumatori abituali di paracetamolo, ibuprofene o della combinazione dei due. Dopo tredici settimane, Doherty confronta i risultati e nota che un paziente su cinque che aveva assunto ibuprofene aveva perso una unità di sangue per una emorragia interna (e questo si sapeva già) e, soprattutto, scoperta nuova, che la stessa cosa era accaduta nei pazienti che assumevano paracetamolo.

Un’altra ricerca dell’Università di Edimburgo, recentemente pubblicata su “Science Translational Medicine reports”, ha evidenziato che le donne incinte che assumono paracetamolo potrebbero mettere a repentaglio la salute del feto, se è maschio, aumentando il rischio che in futuro possa sviluppare malattie come l’infertilità o il cancro. E questa è un’altra novità, in quanto negli studi condotti sull’uomo la molecola ha mostrato un raro rischio di aborto e nascita pre-termine, ma non ha mai dato segni di teratogenicità (ossia la comparsa di malformazioni nel feto).

Nuovi studi e scoperte a parte, però, è molta la disinformazione sul paracetamolo. Basterebbe, ad esempio, leggere il foglietto illustrativo per sapere che la Farmacopea Ufficiale Italiana ne raccomanda l’assunzione di non più di 3 grammi al giorno. Questo perché si tratta di un farmaco molto epatotossico, specialmente se assunto in concomitanza a sostanze alcoliche. Inoltre, pur non dando gastrolesività (quindi ulcere, problemi gastrointestinali ecc.) come i FANS (Farmaci antinfiammatori non steroidei), suoi diretti concorrenti, se assunto in più di 2 g al giorno può far aumentare il rischio di complicazioni a carico delle vie gastrointestinali superiori, e causare sintomi come il sanguinamento gastrico. A ciò si aggiunge la nefrotossicità collegata a sovradosaggi. Ma veniamo ai bambini, sui quali è da sempre considerato somministrabile senza complicazioni. Nel 2008 fu pubblicato su “The Lancet” un altro studio sugli effetti collaterali a lungo termine: riguardante più di 200.000 bambini di 31 paesi, lo studio ha dimostrato che l’uso della Tachipirina come antipiretico nel primo anno di vita è correlato ad una maggiore incidenza di sintomi asmatici a 6, 7 anni e che l’uso del paracetamolo, sia nel primo anno di vita sia nei bambini di 6, 7 anni, è correlato a una maggior incidenza di rinocongiuntivite ed eczema. Gli autori stessi dello studio hanno comunque riconosciuto di non essere sicuri dei risultati, e che essi furono dovuti “probabilmente ad indizi confusi”, cioè che la correlazione potrebbe non essere stata di tipo causa-effetto, ma collegata alla malattia curata durante lo studio. Infine, sempre dal sovradosaggio può aversi un vero e proprio avvelenamento da paracetamolo, con possibilità di morte, ricordando che la dose letale del farmaco è di 10-15 grammi.

In conclusione, paracetamolo si o paracetamolo no? La risposta è molto semplice. Paracetamolo si, ma con estrema moderazione, perché se di farmaco oppure di bene di consumo vogliamo parlare, l’abuso è sempre una pratica sconsigliata, che non porta a nulla di buono.

Daniele Di Stefano

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