La questione degli studenti fuoricorso è ancora al centro di dibattiti: gli atenei con maggior numero di studenti che non si laureano nei tempi dovuti hanno un danno economico consistente.
La questione degli studenti fuoricorso è sempre stata al centro dei dibattiti studenteschi. Adesso c’è un motivo in più per discuterne: dalle stanze ministeriali è uscita la tabella che assegna i fondi pubblici agli atenei, mettendo in pratica la grande novità del “costo standard per studente in corso” che di fatto cancella dall’università italiana almeno 700.000 persone, perché fuori corso. In questo modo si penalizzano i centri con troppi studenti in ritardo con le materie. E a subire le peggiori decurtazioni sono le grandi università che, per correre ai ripari, hanno solo due strade: aumentare le tasse o promuovere con più facilità.
Stando ai dati che ha raccolto L’Espresso, vediamo che la città prima in classifica per un numero elevato di studenti fuoricorso è Cagliari, seguita a ruota da Catania.
Vedi la tabella.
Tutti i dati si riferiscono all’anno accademico 2012/2013.
La conseguenza è che gli atenei con maggior numero di studenti che non si laureano nei tempi dovuti hanno un danno economico consistente. E crescono i timori per due conseguenze possibili del nuovo meccanismo: da un lato, l’aumento a tappeto delle tasse per i fuori corso; dall’altro, la tentazione di abbassare l’asticella delle prove d’esame, in modo da accelerare il percorso verso la laurea.
“Il problema si può risolvere alla radice, con decreto del rettore: regaliamo ogni anno un esame a ogni studente, così molti di più si laureano in tempo”, ha detto provocatoriamente il rettore di Pisa.
Ma non è solo una battuta. Anche il Cun – il Consiglio universitario nazionale – ha denunciato il rischio di “comportamenti non virtuosi per ridurre il numero degli studenti fuori corso”. Che vuol dire? Un occhio più benevolo nella valutazione degli esami? “Qui a Milano abbiamo circa 18 mila fuori corso: cerchiamo di ridurli, investendo su orientamento, diritto allo studio, tutoraggio, servizi – dice Giuseppe De Luca, prorettore alla didattica della Statale di Milano.- Ma molti piccoli atenei non hanno un soldo per fare queste cose, potrebbero reagire semplicemente abbassando l’asticella degli esami”. Perché spesso un alto numero di fuori corso deriva dalla serietà e selettività delle lauree, dagli studenti che hanno partecipato al progetto Erasmus o da studenti lavoratori.
L’altra possibile conseguenza del nuovo meccanismo è l’aumento delle tasse per i fuoricorso. Infatti, dai tempi del governo Monti, se in generale i contributi chiesti agli studenti non possono salire oltre una certa quota del Ffo, per i fuori corso il tetto è saltato. Di conseguenza, i soldi persi per “eccesso” di fuori corso si possono recuperare tassando il loro ritardo. Già in alcuni atenei questi pagano di più degli altri: alla Sapienza, dopo il terzo anno fuori corso si paga il 50 per cento in più; anche Palermo ha introdotto un aggravio per chi non si laurea in tempo, che era allo studio anche a Pisa ma è stato bloccato in extremis. “Lo abbiamo rifiutato, è un modo per fare cassa che non riteniamo giusto – dice il rettore Augello – Ma questo è uno degli effetti distorsivi delle nuove regole: tutte le università stanno guardando al serbatoio dei fuori corso per cercare risorse”.
“Il concetto di fuori corso è cambiato – dice Guido Fiegna, già direttore generale del Politecnico di Torino ed esperto dei numeri dell’università italiana – già si farebbe molta pulizia se si utilizzassero di più le iscrizioni a part time, per gli studenti lavoratori, per le quali però le università fanno resistenza, proprio per non perdere iscritti e fondi”. Non solo: “non si capisce perché nel costo standard si calcolano solo gli studenti iscritti ai corsi, e non chi sta facendo il dottorato di ricerca, come se questi non studiassero”.
Attenderemo eventuali svolte della vicenda, soprattutto per quanto riguarda il nostra amato/odiato ateneo.
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