Com’era inevitabile, seppur tardivamente, l’ordine di reintegra del Tribunale del lavoro è stato eseguito.
La vicenda non è però chiusa e richiede una riflessione politica perché non si può delegare la soluzione del problema soltanto alla magistratura che ovviamente sta facendo e farà la sua parte, cui è stata chiamata a partire da un licenziamento che il rettore ha fortemente voluto invocando un atto di fiducia agli organi di governo.
Prima il Giudice del lavoro lo ha ritenuto illegittimo e lo ha dichiarato nullo, poi il Presidente in persona dello stesso Tribunale ha respinto (il 28 novembre) la richiesta di sospensione dell’ordinanza del primo Giudice: la fiducia è stata quindi, allo stato, mal riposta.
Questo comporterebbe inevitabilmente, già da ora, l’assunzione di responsabilità politiche da parte del rettore che invece tende a sottrarsi a questa riflessione ostinandosi a percorrere sino all’estremo la via giudiziaria. Non entriamo nel merito giuridico perché non ci compete, ma il problema politico è evidente. I due vertici dell’Ateneo, l’uno per quanto riguarda la didattica e la ricerca, l’altro per quanto riguarda la gestione amministrativa, sono in aperta collisione e l’ostinazione del rettore lo ribadisce. La rappresentazione da parte sua della vicenda come un atto disciplinare non ha convinto il tribunale, ma non può convincere neanche la comunità accademica. Durante la campagna elettorale del candidato Rettore la stessa comunità ha potuto cogliere una evidente insofferenza nei confronti dei vertici responsabili della gestione amministrativa. Politicamente questa evidenza viene ora ribadita dalla dinamica della contrapposizione accanita del Rettore all’ordinanza; una evidenza che rivela inquietanti aspetti di scollamento tra il Rettore e le esigenze dell’Ateneo. Il 27 novembre si svolge sulla questione “Maggio” un incontro informale, richiesto dal Rettore, con i componenti il Senato Accademico, nel corso del quale egli dichiara che l’Avvocatura dello Stato cui era stato richiesto il parere sull’ordinanza riteneva di dover opporre reclamo. Al senatore Giulio Fortini che chiedeva di poter conoscere il parere veniva risposto che esso non era ancora formalmente pervenuto. Ma il giorno stesso l’avvocato dello stato aveva presentato il suo reclamo con la richiesta di sospensione (che il Presidente del Tribunale ha respinto il giorno successivo): autorizzato da chi? Gli organi accademici non sono stati chiamati ad esprimersi. Il rettore sembra scambiare se stesso con l’Ateneo; sono entità distinte, non solo giuridicamente, ma – per quel che qui preme – anche politicamente.
Come se ne esce? Auspicando una ricomposizione politica della frattura nel pieno rispetto delle reciproche prerogative dei protagonisti, è la risposta più ovvia. Ma di fronte all’ostinazione di una delle parti, con il rischio di conseguente paralisi dell’attività accademica, forse bisogna invitare il rettore in modo definitivo a cambiare atteggiamento o a farsi da parte.
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