In quella “creatura bellissima”, così definita da Ettore Romagnoli, si sta svolgendo dal 9 maggio fino al 22 giugno il ciclo di rappresentazioni classiche composto dall’ Orestea (Agamennone, Coefore , Eumenidi) di Eschilo e dalla commedia di Aristofane le Vespe.
Il teatro greco di Siracusa quest’anno celebra il Centenario della nascita del Dramma Antico e il Centenario della prima rappresentazione, con l’Agamennone di Eschilo, che viene riproposta con la regia di Luca De Fusco. Il regista Daniele Salvo sta affrontando una sfida molto ardita portando in scena in un’unica sera due tragedie, infatti ha affermato: «Lo spettacolo Coefore-Eumenidi, in serata unica, vuole tracciare un percorso inedito: è una sfida alle Erinni del nostro tempo». La sua sfida è affrontata con la preziosa collaborazione di Arnaldo Pomodoro che ha ricostruito una scena onirica, che sembra riportare Oreste (Francesco Scianna) non solo nel passato, ma in un vero mondo lontano da qualsiasi realtà e in una dimensione priva di spazio e, soprattutto, di tempo. Le sue scelte e le sue azioni così diventano protagoniste di generazioni che superano ogni epoca.
Il suo ritorno a casa ha già di fronte il dramma per la morte del padre Agamennone, ucciso dalla moglie Clitemnestra (Elisabetta Pozzi) e da Egisto (Graziano Piazza). Una catena di sangue che non è destinata a concludersi solo con la morte di Agamennone. Il tono luttuoso ritorna in scena non solo con il sangue di un lenzuolo, ma anche con l’uccisione dei due tiranni. Il pubblico assiste all’ omicidio di Clitemnestra, che perde la vita per mezzo delle mani del figlio. Oreste con l’aiuto della sorella Elettra (Francesca Ciocchetti) tende l’inganno ai due assassini, si macchia le mani con il sangue materno che gli provocherà angoscia e tormento. Le sue azioni sono circondate dal coro la cui centralità risiede nel movimento spasmodico del corpo. Una corporeità che investe i protagonisti e il pubblico, divenendo il tramite tra l’interiorità e la società. Donne la cui gestualità ripercorre il dolore, le cui urla sembrano dilagare senza un fine. Sono Coefore e poi Erinni per poi riprendere l’aspetto di Coefore, sono donne che si perdono e si ritrovano nei loro movimenti e in questi manifestano la contraddizione della vita, ma anche quel suo incanto. I loro gesti sono accompagnati dalle musiche di Marco Podda e dal canto di voci che ripercorrono la tragedia dell’uomo scaturita dalle scelte di questo. Quelle scelte che, nonostante causino dolore, morte e persecuzione, vengono risolte con il giudizio di un tribunale istituito appositamente alla fine della tragedia. Un tribunale che fondato da Atena (Piera Degli Esposti) diventa il primo della storia in cui il potere è impersonato non dagli dèi, ma dai cittadini migliori, che nello spettacolo sono rappresentati da uomini e donne giovani. Questa scelta del regista racchiude il messaggio catartico che la tragedia vuole lasciare nel cuore degli spettatori, la vittoria delle istituzioni, dell’uomo e della gioventù, talvolta condannata perché considerata una colpa.
Atena riesce a domare le Furie, le addomestica, addormentando in loro quell’ istintività che collega l’uomo all’ animale, ma si tratta di una tranquillità solo momentanea che porta il regista, e sicuramente tutti coloro che assistono alla nascita dello Stato di Diritto, a chiedersi «se c’è una speranza o la natura dell’uomo è irrimediabilmente corrotta?».
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