La scelta della data non è stata casuale, il 13 gennaio 1998, infatti, un giovane siciliano decise di prendere un treno per Roma, per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Alfredo Ormando era stanco dei pregiudizi, era stanco di essere trattato come “un marocchino” nel proprio Paese, era stanco di essere considerato diverso soltanto perché omosessuale. Un atto estremo il suo, si diede fuoco in piazza San Pietro, per protestare contro la sordità della Chiesa nei confronti degli omosessuali, morì dopo dieci giorni di atroce agonia. E così, nel ricordo di Alfredo, decine di rappresentanti dell’Arcigay di Catania si sono dati appuntamento proprio il giorno del suo folle gesto, tredici anni dopo, davanti il Palazzo Arcivescovile etneo.

«Oggi ricordiamo il gesto estremo di Alfredo e manifestiamo pacificatamente con le nostre bandiere colorate, perchè siamo tutti figli dello stesso Dio e meritiamo una dignità che non tutti ci riconoscono» con queste parole Sandro Mangano, presidente Arcigay Ct, ha aperto il pomeriggio catanese all’insegna dei diritti degli omosessuali.

«Ci sentiamo calpestati dall’atteggiamento restrittivo della Chiesa – ha continuato Mangano – siamo quì perché il nostro desiderio più grande sarebbe di poter convivere tutti insieme in una società giusta e umana». La loro è una lotta quotidiana e non hanno assolutamente intenzione di arrendersi. Si raccontano senza troppi giri di parole. Scherzano e accolgono con un sorriso quanti si avvicinano incuriositi. «All’inizio è dura per tutti – dicono dei ragazzi mentre distribuiscono ai passanti dei volantini in cui si racconta la storia di Alfredo – ma poi capisci che non sei solo». Molti di quei volantini finiscono a terra pochi metri più avanti, ma a loro non importa, e continuano a distribuirli. «Ci siamo abituati – dicono altri ragazzi – essere gay è dura, ma in Sicilia lo è ancora di più».

Una coppia di ventenni che vive da sei anni insieme dice che più di ogni altra cosa ciò che ferisce è l’ipocrisia della gente. «Essere gay per molti non è problema, fin quando non si presenta a casa il proprio figlio o la propria figlia che confessa, quasi come se fosse un assassino, di essersi innamorato di una persona del suo stesso sesso, allora lì si che essere gay diventa un problema». In mezzo alla folla, tra le telecamere, i volantini e i curiosi si nota una bella donna dagli occhi timidi, alta, bionda, dal 2007 lei è Francesca, ma forse lo è sempre stata perché non è un nome a darti l’identità. Francesca invita a non nascondersi, a trovare il coraggio di dichiarare ciò che si è. Perchè bisogna prima di tutto accettarsi per poi essere accettati.

«Abbiamo pianto tutti di nascosto nella nostra stanza, senza lasciare che i nostri genitori si accorgessero delle nostre lacrime – conclude Sandro Mangano – oggi ci sono tanti modi grazie ai quali uomini e donne possono contattarci, anche anonimamente, noi ci siamo anche semplicemente per dare un consiglio, perché si sa, ogni percorso, dal più lungo al più breve, deve cominciare con un solo passo».

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Federica Campilongo

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Federica Campilongo

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