Dopo l’annuncio sulla rivoluzione dei concorsi pubblici, prendono forma anche le polemiche e si accendono i dibattiti sui criteri di selezione. Secondo le ultime novità, non basterà più il voto finale di laurea, ma potrà contare anche l’ateneo di provenienza e altri fattori in grado di depurare da effetti distorsivi il famigerato pezzo di carta. La novità passa come emendamento alla delega P.a, all’esame della commissione Affari Costituzionali della Camera, dove è arrivata dopo il primo via libera al Senato.
Finora nei concorsi il voto ha avuto il suo peso mentre, almeno nella fase delle prove basata sui punteggi, l’università che ha rilasciato il titolo accademico non fa testo. Adesso si cambia: “superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso ai concorsi e possibilità di valutarlo in rapporto a fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato e al voto medio di classi omogenee di studenti”.
Ad esempio, spiega Meloni, “il mio voto verrà considerato a seconda del voto medio che viene dato nella mia facoltà.
Vogliamo impedire che gli studenti scelgano un certo indirizzo solo perché il meccanismo di valutazione è più generoso”.
Ovviamente il meccanismo sarà definito nei decreti attuativi del ddl Madia, ma il concetto è chiaro: il voto preso in se stesso, slegato da tutto il resto, non sarà più un elemento chiave. La Pubblica Amministrazione punterà anche la lente sul tipo di ateneo e più in generale sull’ambiente di cui quel voto è il frutto.
Anche i dirigenti non ne sono rimesti illesi. Infatti, la possibilità di un loro licenziamento sarà preceduto da una valutazione negativa sull’operato svolto. Quindi non basterà più essere privi di incarico per un determinato periodo ma bisognerà avere avuto almeno una volta la possibilità di lavorare e di di conseguenza di essere giudicati. Quanto a incarichi direttivi e dirigenziali, viene precisato che, anche i pensionati li possono svolgere purché a titolo gratuito e per un anno. Lo scopo, sottolinea uno dei firmatari, Andrea Giorgis (Pd), “era quello di non interrompere di colpo esperienze fruttuose di vertice”, vista la ‘tagliola’ imposta su collaborazioni e consulenze dal decreto legge sulla P.a. dell’estate scorsa.
Continuando su questo versante, viene sottolineata l’importanza della lingua inglese e delle altre lingue straniere, la cui conoscenza dovrà sempre essere verificata o come requisito per la partecipazione o come titolo di merito.
Nel pacchetto di emendamenti sui concorsi c’è anche la previsione di un polo unico per le selezioni pubbliche, una sorta di agenzia o dipartimento creata appositamente e che riunisca tutte le diramazioni responsabili in materia. Una grande struttura unitaria con il compito di gestire le prove.
Ultima novità sarà l’articolazione stessa degli esami: si va verso una scansione in diverse tappe, con la possibilità di acquisire titoli e superare verifiche che valgono per più concorsi.
Un pacchetto nuovo creato ad hoc per il rinnovamento dei concorsi pubblici con lo scopo di avere una visione più nitida sulla selezione prima e lo svolgimento delle prove poi. Ma sono davvero questi i criteri che faranno la differenza?
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