Università in pillole

Università, truffe durante gli esami online: “Dobbiamo farli in presenza”

didattica a distanza
Università, a Genova i professori universitari dell'ateneo chiedono a gran voce che si torni agli esami in presenza per evitare che si trucchino gli esami.

Sin dall’inevitabile avvento della didattica a distanza nelle vite degli universitari, studenti, ma anche professori, hanno portato all’attenzione pubblica le non poche le difficoltà incontrate. In quasi un anno di DaD, si è assistito davvero a tutto: dai veri e propri disagi tanto nel possesso quanto nell’utilizzo di uno strumento adeguato al seguire le lezioni, trasferite su piattaforme online, fino a, inevitabilmente, gli esami.

Ed è proprio sugli esami che i professori universitari di Genova vogliono calcare la mano, chiedendo a gran voce al proprio rettore, Federico Delfino, che si torni “a fare almeno gli esami in presenza”. Come raccontato da Repubblica, negli scorsi giorni degli studenti di Scienze Politiche appartenenti all’ateneo genovese hanno tentato di truffare durante lo svolgimento di un esame, chiedendo ai propri tutor di prendere il loro posto camuffandosi grazie a delle inquadrature sfocate. Una volta sventato il piano degli studenti, i docenti hanno scritto al rettore, spiegando, come riportato da Repubblica, che “gli esami a distanza generano una responsabilità che non possiamo più assumerci. Non siamo in grado di controllare come dovremmo, per assicurare che tutto avvenga secondo le regole”.

Come spiegano i professori, “all’inizio della prima ondata ci trovavamo in emergenza e l’Università ha reagito per prima, riorganizzando lezioni ed esami a distanza in tempi record e il sistema continua a funzionare egregiamente per le lezioni: i professori hanno a disposizione un supporto tecnico continuo. Per gli esami, però –  continuano – ci sentiamo scivolare via il controllo, che per noi costituisce responsabilità della correttezza dello svolgimento delle prove”.

Università: la vita impossibile tra DaD e “trucchi” online

C’è un confine impercettibile tra chi imbroglia agli esami e chi li fa in modo onesto, ma dotato di mezzi poco adatti alla DaD: “Abbiamo studenti che devono spartirsi magari due pc in famiglia, tra loro, il fratello o la sorella, pure in Dad, e i genitori in smart working: spesso seguono le lezioni dal cellulare, o dal cellulare sostengono l’esame da quel piccolo schermo, con fotocamere di bassa qualità”.

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Qualità così bassa da “stentare, talvolta, ad avere la certezza assoluta che il candidato in video corrisponda alla fotografia sul tesserino universitario che viene mostrato“. I professori, inoltre, non sono sicuri che il candidato sia effettivamente solo durante lo svolgimento dell’esame: “richiamiamo l’attenzione dello studente che sta sostenendo l’esame a guardare dritto nella telecamera, senza distogliere lo sguardo: non sempre siamo certissimi che gli studenti siano davvero soli e magari, al di là dello schermo, ci sia qualcuno a suggerire”.

A tal proposito interviene un’altra docente, che spiega come “prima di iniziare l’esame, chiedo sempre ai candidati di inquadrare il loro piano di lavoro per controllare che non ci siano documenti o appunti in giro, ma è chiaro che mi devo fidare. Oppure, a volte ambiguamente, ci sono problemi di connessione: succede che i candidati scompaiano, magari dopo una domanda, o si azzeri l’audio. Come facciamo a certificare che al di là della telecamera tutto sia in regola?”.

Sebbene le lamentele provengano da un solo ateneo, è ormai risaputo come questo disagio da parte dei professori sia riconosciuto nella quasi totalità delle università italiane. I docenti, però, tengono a puntualizzare come l’unica problematica rilevata durante la didattica a distanza sia effettivamente quella degli esami: la DaD funziona, “per molti ragazzi la possibilità di rivedere le lezioni registrate dà loro chance di comprensione che prima, in presenza, non avevano”.

I docenti si dicono dunque disposti a tutto: “siamo disposti a dilatare le sessioni, per distanziare i candidati, convocarli uno per volta, ma abbiamo bisogno di tornare a valutare con rigore i nostri ragazzi, per il bene dell’Università e loro, affinché il loro lavoro sia correttamente riconosciuto”.