Cinema e Teatro

Il regista catanese Riso al Festival di Venezia: nel suo film Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel

Tra i film in concorso alla settantaquattresima edizione del Festival del Cinema di Venezia c’è anche un pezzo di Catania. Infatti, il regista catanese Sebastiano Riso concorre al Leone d’oro con il suo Una famiglia, film che tratta un tema difficile e oscuro, sul corpo delle donne e sul controverso tema della compravendita di bambini.

Un regista catanese in concorso alla gara di uno dei festival cinematografici più importanti e aspettati. Alla settantaquattresima edizione del Festival del Cinema di Venezia concorre anche Sebastiano Riso, il regista catanese a cui piace dare voce alle storie che solitamente rimangono nell’ombra, tra le insenature della società.

Con Una famiglia, proiettato ieri al Festival, il regista originario di Catania ha voluto affrontare  la narrazione di “una storia che si interroga sul concetto di famiglia oggi nel nostro Paese, e quanto sia difficile adottare un bambino in Italia, sia che tu sia single, omosessuale o semplicemente un marito e una moglie che non hanno ottenuto i requisiti” , come spiegato da Riso alla stampa.

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Il regista catanese non è alle prime armi con la narrazione di trame che ruotano attorno all’archetipo della madre. Una figura che a Riso non piace idealizzare, anzi. Preferisce dipingere personaggi che profumino di vero. Un vero che, con gli occhi di Riso, spesso corrisponde ai tratti della disperazione e che ha radici tra le strade in cui nulla è alla luce del sole e tutto rimane nascosto agli occhi di una società che sembra cieca, che sembra voler non pensare all’esistenza di questi altri mondi. Infatti il catanese sostiene che “tutte queste madri le ho scelte, le ho volute, le rincorro; non amo le eroine, preferisco queste donne disgraziate, più sono disperate e più vengono da mondi subalterni, più voglio difenderle e farmene portavoce. Il cinema in qualche modo ti dà l’occasione per dare voce a chi non ce l’ha. Questa è una mamma bambina, a mala pena sa essere madre di se stessa, si abbraccia in questo giubbottino di lana cotta rosa che le vediamo addosso per tutto il film come se tenesse in grembo se stessa. Maria sembra non avere un passato e sembra essere schiava di quell’uomo che è amante, marito, amico, carceriere, ma in realtà fa parte di un progetto che non ha deciso ma ha accettato. Fin dalla prima scena del film lei sta meditando di emanciparsi e ribellarsi, sarà libera solo quando riuscirà a liberarsi dal reiterarsi del doloroso percorso di sesso, gravidanza, espulsione e vendita di questi bambini”.

La protagonista femminile dell’opera di Riso è interpretata da Micaela Ramazzotti. L’attrice ha espresso un grande apprezzamento nei confronti del regista, non solo professionale e ha speso parole di ammirazione nei confronti di Riso: “Sebastiano ha nei miei confronti un entusiasmo che mi commuove” specificando che  “la sua spudoratezza mi fa essere spudorata, la sua libertà mi libera. Nei miei film precedenti sono stata sempre la bambina dei grandi maestri con cui ho lavorato, qui invece mi sento la donna accanto al giovane regista, più giovane di me. Su questo set mi sono sentita accolta e amata. Gli attori hanno sempre un’autostima molto bassa e invece alla fine della giornata di riprese io ero alle stelle per come mi faceva sentire: bella, bravissima. Arrivavo a casa la sera e pensavo di essere come Meryl Streep, poi mi davo dell’idiota e mi dicevo: oddio Micaela che scema che sei, non lo dire a nessuno. Ti prendono per pazza”.

Critica meno entusiasta. Il film di Riso, proiettato per la prima volta ieri, ha suscitato solo tiepide reazioni, sia in caso di pollici verso l’alto che di quelli verso il basso. Non è mancato qualche manifestazione di disapprovazione, pochi gli applausi. Ad ogni modo, il Festival di Venezia si conferma essere un banco di prova importante per il regista 35enne catanese, che aveva già realizzato il suo debutto internazionale nel 2014 a Cannes, durante la Semaine de la Critique, presentando  la storia di un giovane transgender in fuga, con il film Più buio di mezzanotte.