Erasmus

Studenti e prof. universitari: come cambia il rapporto tra Italia e altri Paesi Europei

Girando per le aule di diverse facoltà catanesi e non solo, è tipico da parte di studenti “fuori-corso”, o semplicemente in difficoltà, lamentarsi della situazione di abbandono in cui si trovano. Molti studenti si sentono privi di una guida, eccessivamente autonomi e talvolta poco stimolati allo studio. Purtroppo, non si tratta solo di ragazzi ancora affezionati al liceo o agli istituti frequentati prima dell’università,  ma anche di studenti che verso la fine dei loro studi, si muovono da soli per raggiungere i loro obiettivi, senza nessuno che li aiuti a perseguire i loro progetti successivi e che li indirizzi, interessandosi principalmente delle loro passioni.

Ci siamo chiesti se il problema riguardi il sistema italiano o sia comune a tutte le università, cercando di verificare se il classico “fuori è diverso” si realizzi anche in questo caso. Abbiamo, dunque, raccolto qualche informazione da parte di studenti – scelti in base a nessun criterio preciso, se non quello della prolungata esperienza all’estero – che hanno vissuto esperienze formative ed entusiasmanti come quella dell’Erasmus o di altri progetti europei.

Alessandro, che ha studiato Lingue e Culture Europee Euroamericane ed Orientali presso il Disum di Catania, ha partecipato a due esperienze Erasmus: durante la triennale, ha frequentato l’Università di Edimburgo, mentre attualmente nel suo secondo semestre della magistrale sta seguendo dei corsi di indirizzo presso l’Université Sorbonne Nouvelle (Paris 3). Lo studente ha riscontrato differenze sostanziali nelle relazioni tra studenti e professori nel nostro Paese, in confronto alla Francia e alla Scozia, infatti ha dichiarato:Mi rendo conto che è diverso. In Scozia ci sono per lo più lezioni frontali in grandi anfiteatri con tanta gente, affiancati da seminari in piccoli gruppi in cui si discute su quanto fatto, presentando anche dei lavori personali alla classe o consegnando saggi settimanalmente. In Francia, invece, almeno alla Sorbonne Nouvelle, i corsi tendono ad essere tutti maggiormente in piccole classi (quasi come al liceo). Di conseguenza, i professori tendono a conoscerti anche per nome e sono gli studenti a fare le lezioni (attraverso presentazioni in classe, interventi e lavori di gruppo).” 

Le stesse sensazioni ha riscontrato Alice, che ha frequentato i corsi di Chimica Industriale presso il Dipartimento di Chimica Industriale “Toso Montanari” dell’Università di Bologna e che ora si trova in Francia a specializzarsi in Spettroscopia nell’ambito del progetto ASC (Advanced Spectroscopy and Chemistry) alla Universitè Lille 1- Sciences et Technologies. “Devo dire che là i prof nonostante preferiscano parlare nel loro ufficio, dopo aver preso appuntamento, sono comunque molto disponibili – ha commentato Alice. – Una cosa che ho apprezzato alla fine dello scorso semestre è che hanno dedicato mezza giornata per discutere faccia a faccia con noi di aspetti positivi e negativi dei corsi dei mesi precedenti. I prof erano tutti presenti e, se ricevevano una critica, spiegavano il loro punto di vista e poi cercavamo insieme di trovare una soluzione. A Bologna per questioni del genere ci davano questionari anonimi da compilare.”

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Approcci più diretti vengono considerati da tutti i ragazzi intervistati più efficaci. Alcuni ritengono che così si possa evitare la spiacevole situazione di accettare voti che non rispecchiano la preparazione degli studenti considerati anonimi agli occhi dei professori. Altri, come Agrippina, ex studentessa del Disum che ha studiato all’ Université Paris Nanterre preferisce questo rapporto insegnanti-studenti, perché “più stimolante per lo studente che è chiamato ogni giorno a mettersi in gioco”. Tutti d’accordo nell’affermare che in ogni caso il rapporto studenti-professori è decisamente paritario. “All’estero non esiste il ruolo professore-tiranno-padrone contro studente indifeso, non ci sono rapporti di sottomissione” secondo Candida, anche lei ex studentessa del Disum, che ha svolto l’erasmus a Coimbra, in Portogallo.

Per quanto i nostri percorsi accademici siano più corposi e offrano una preparazione più vasta rispetto a molti percorsi accademici all’estero, purtroppo da un punto di vista umano e per le varie ragioni prima elencate, il nostro sistema pecca. E non poco, perché è vero che bisogna rendere gli studenti autonomi, ma è anche giusto offrire una maggiore disponibilità per riprenderli, onde evitare di rendersi complici della loro caduta (accademica).

Sarà mai possibile per il nostro apparato universitario secolare aggiornarsi ai nuovi metodi d’oltralpe? I ragazzi da noi intervistati si sono dimostrati speranzosi in tal senso, purtuttavia non escludendo che sarà un percorso difficile, teso a scardinare la rigorosissima impostazione di molti docenti. Vedremo se l’aria d’Europa riuscirà a soffiare anche nella formazione dei suoi giovani cittadini.