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Un asterisco al posto della desinenza maschile? La prof.ssa Arcara: “Include tutte le soggettività”

Usare l’asterisco al posto del maschile neutro universale, un fenomeno linguistico e culturale importante per smantellare l’uso sessista del linguaggio.

Tantissime sono state le discussioni, negli ultimi anni, circa la necessità di utilizzare un linguaggio non sessista e ancora più numerose sono le polemiche scaturite in proposito, soprattutto in Italia dove la questione è sempre particolarmente ridicolizzata. Mentre altri Paesi continuano ad avanzare proposte per cercare di diffondere un linguaggio più inclusivo, in Italia si ride ancora per l’uso di termini come “ministra” o “sindaca” che, a detta di alcuni, “suonano male”, anche se molte lingue vicine alla nostra, come lo spagnolo, utilizzano senza problemi il corrispettivo femminile di molte parole solitamente usate al maschile.

Ma in Italia è cacofonico e quindi via con inspiegabili espressioni come “il ministro col pancione” o con conturbanti giudizi come quello di Giorgio Napolitano che definisce “orribile” l’appellativo ‘ministra’ e “abominevole” quello di ‘sindaca’. La verità è che quello di cominciare ad utilizzare anche il corrispettivo femminile, al posto del maschile neutro universale, è semplicemente il primo passo per smantellare l’uso intrinsecamente sessista del linguaggio.

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Il maschile neutro universale non è una convenzione pratica: non usiamo ‘uomo’ per indicare uomini e donne perché è più comodo o più breve (perché altrimenti si potrebbe benissimo fare il contrario, utilizzando ‘donna’ per indicare uomini e donne), l’uso del maschile neutro universale è qualcosa che, al contrario, sottende un rapporto di potere ben preciso. Per metterlo in questione, quindi, sarebbe importante cominciare a renderlo visibile e fare emergere la soggettività femminile tramite l’uso di espressioni come “tutti e tutte”, “ministra”, ecc. Volendo, però, potremmo andare ancora oltre. Chi ha mai sentito parlare dell’uso dell’asterisco per la declinazione del genere?

L’asterisco viene utilizzato per sostituire una desinenza maschile o femminile, quando si scrive, per indicarle entrambe e includere anche altre forme che non rientrano in nessuna delle due categorie, ovvero chi per motivi biologici o socioculturali non si riconosce nel binarismo uomo/donna, come ad esempio le persone transessuali e intersessuali. In particolare, l’asterisco nasce e viene utilizzato nell’ambito del mediattivistmo e della scrittura virtuale. Ma l’utilizzo di questo segno grafico non è scelto a caso.

“L’asterisco ha una sua storia tipografica: in passato, serviva per indicare un’omissione volontaria o una censura di una parte di testo o per mantenere un anonimato”, spiega Stefania Arcara a LiveUniCT, docente di Studi di Genere all’Università di Catania. L’asterisco sta per qualcosa che non si può dire, per qualcosa che sta nascosto e nel suo richiamare la censura di parole indecorose, produce un effetto disturbante che vuole attirare l’attenzione proprio sull’effetto della censura dei vari generi. Inoltre, il simbolo “proviene dall’informatica dove l’asterisco è un carattere jolly che si usa in sostituzione di uno o più caratteri”.

In questo senso, l’utilizzo dell’asterisco potrebbe essere qualcosa di più radicale rispetto al semplice uso del femminile perché “mette in questione il binarismo, includendo tutte le soggettività, anche quelle che non si riconoscono in un genere specifico”. È chiaro, ovviamente, che nella lingua parlata, quando si legge un testo scritto in cui viene utilizzato l’asterisco, il genere va specificato altrimenti sarebbe impossibile pronunciarlo.

Sebbene si tratti di un fenomeno linguistico e culturale di una certa importanza, Arcara sottolinea, però, un’altra cosa importante: “Il fatto che qualcuno/a utilizzi un linguaggio non sessista non è di per sé una garanzia che abbia davvero un atteggiamento critico o comportamenti che rispecchino la messa in questione dell’eteropatriarcato, anzi si corre il rischio che si voglia semplicemente mantenere una facciata di politically correct”.

Non è sufficiente, dunque, che si utilizzi un linguaggio inclusivo per decostruire il linguaggio sessista, ma cominciare a farlo potrebbe essere un mezzo per stimolare la riflessione e dare un segnale forte da parte di chi si trova a contatto con un fenomeno del genere, soprattutto in virtù del fatto che il linguaggio è fortemente simbolico e che, attraverso il suo uso nella sua quotidianità, contribuisce a creare concetti e, quindi, la realtà. Alla luce di questo potere che molti sottovalutano, non dovrebbe sorprendere che un intervento linguistico del genere, che prova ad includere non solo il femminile ma anche tutti gli altri generi che vanno al di là del binarismo maschile/femminile, possa su lungo corso aiutare a costruire una società sempre più inclusiva.

A proposito dell'autore

Antonietta Bivona

Giornalista pubblicista e direttrice responsabile della testata giornalistica LiveUnict. Dopo un dottorato conseguito presso l'Università degli Studi di Catania, è ricercatrice in lingua e letteratura francese. Insegna nei corsi di laurea triennale e magistrale del Dipartimento di Studi classici, linguistici e della formazione dell'Università degli Studi di Enna.

📧 a.bivona@liveunict.com