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La parentopoli nelle università causa fuga di cervelli: la denuncia del Presidente Anac

17/03/2014 Roma, Camera dei Deputati, presentazione della fiction RAI su Don Giuseppe Diana. Nella foto Raffaele Cantone

“Esiste un collegamento enorme fra la fuga dei cervelli e la corruzione “, afferma Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Il nepotismo è piaga da anni di diversi atenei.

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Raffaele Cantone ha denunciato la corruzione che da tempo vige nelle più svariate sedi universitarie, da nord a sud. Le segnalazioni giungono frequenti all’ente che tutela la trasparenza e l’integrità delle pubbliche amministrazioni, tanto da far dichiarare allo stesso presidente Anac: “Siamo subissati”. Il malaffare si insinuerebbe anche nei concorsi.

Eppure con Mariastella Gelmini al dicastero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, era stata approvata una norma legislativa per cui i parenti non possono insegnare nello stesso dipartimento. È evidente che molti abbiano trovato la “giusta” escamotage per piazzare i familiari. Nel 2007 Bari sulla scrivania di un docente del Policlinico fu trovata una lista di 16 concorsi banditi da dieci atenei in tutta Italia per posti da ordinario e associato, posti già preventivamente assegnati. Persino La Sapienza di Roma ha avuto il suo piccolo scandalo interno: l’ex Rettore Luigi Frati, in carica dal 2008 al 2014, è stato attaccato per la “casuale” docenza al Dipartimento di Medicina del figlio cardiologo, della nuora laureata in Lettere docente di Storia della medicina e della figlia laureata in Giurisprudenza docente di Medicina legale. Alle accuse Frati rispose dicendo: “Quando Cesare Maldini è diventato commissario tecnico della Nazionale, Paolo Maldini non è stato buttato fuori dalla squadra”.

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Le ironiche analogie e il non rispetto del divieto segnano le potenziali carriere di tanti giovani ricercatori, che solo per il merito dovrebbero ricoprire quelle cariche. Proprio qualche anno fa, un matematico trentenne di origini emiliane, portò a termine una singolare ricerca: tra gli oltre 61mila professori italiani, riscontrava settemila casi di omonimia, di cui ben duemila più di due volte e invece, per le statistiche standard, le ripetizioni avrebbero dovuto essere meno di mille.

A ciò si aggiunge il dramma delle inchieste che partono in ritardo e dopo anni vengono puntualmente archiviate perché è ormai passato troppo tempo. Confermate le procedure di prescrizione è inutile indagare, mentre i prof rimangono saldi sulle loro poltrone.