Università di Catania

UNIVERSITÀ – “Ragazzo mio, dovrai studiare per tutta la vita”, la lettera del prof. Guido Trombetti

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“Ragazzo mio, dovrai studiare per tutta la vita” è un monito quello che il professore Guido Trombetti lancia alle future matricole universitarie e a tutti gli studenti degli atenei italiani. 

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Il professore Trombetti attraverso la sua lettera invita, dunque, non solo a proseguire gli studi ma soprattutto ad aiutare i giovani a capire quali sono le loro passioni, a seguirle e a scoprire i talenti che possiedono perché solo così si potrà “studiare tutta la vita” e svolgere con passione il proprio lavoro. Infatti lo studio, nonostante sia necessaria la pratica, è il primo mezzo necessario per saper svolgere adeguatamente un lavoro, qualunque esso sia.

Di seguito la lettera del professore pubblicata su La Repubblica.

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Consideriamo un mestiere molto antico. Quello del contadino. Fino a settant’anni fa si imparava sul campo (letteralmente). Attraverso l’imitazione dei gesti, la trasmissione orale, il confronto con altri contadini. Poi inesorabile il cambiamento. Il sapere della tradizione evaporò nel giro di pochi anni, mandato in soffitta dalla scienza e dalla tecnologia. Concimi, macchine, contratti di lavoro… Oggi una nuova rivoluzione. L’impatto ambientale, la logistica, il contatto col cliente, internet. Nuovi saperi. Che bisogna apprendere da qualche parte. Oggi il sapere tradizionale, quello dei padri, non aiuta. Ecco il punto. Oggi ogni tipo di mestiere esige un apprendimento continuo, possibile solo in parte “sul campo”. E allora dove?

L’università è la risposta più antica che ogni società ha predisposto quando ha capito che la cultura “dà da mangiare”. Una formula che ha resistito circa mille anni. Nel frattempo l’offerta dei saperi è cambiata, articolandosi in mille forme: corsi brevi, lunghi, master, didattica on line, mille discipline, centinaia di atenei. Cosa e come scegliere? Non è un caso che uno dei temi di discussione estiva riguardi l’iscrizione all’università dei figli. E non solo il corso di laurea da scegliere. Oggi, sempre più spesso, gli interrogativi riguardano l’università presso la quale mandare a studiare i figli.

Capisco che in una società che fa della semplicità degli spostamenti un cardine della organizzazione sociale il quesito sia naturale. Inoltre una esperienza di vita fuori casa attrae fortemente un giovane. Ovviamente la cosa riguarda i ragazzi di famiglie facoltose. Vivere fuori casa costa. Insomma una spinta forte è data dal desiderio, comprensibile, di fare una esperienza di vita più libera. La qualità degli Atenei spesso “c’azzecca e non c’azzecca”. Ricordo che la figlia di un mio amico si incapricció di voler studiare materie umanistiche al San Raffaele. Al San Raffaele? Ma non è famoso come ospedale? Gesù, fammi luce! Su questo tema consiglio a tutti i ragazzi di leggere l’articolo magistrale di Gaetano Manfredi apparso nei giorni scorsi su Repubblica.

Illuminante. Per un giovane la scelta di cosa studiare e dove è un rompicapo. Le informazioni di cui dispone sono spesso confuse. E contaminate da elementi pubblicitari che trattano lauree e università con la stessa logica di salamini e detersivi. Analisi statistiche affidabili dicono che meno del 30 per cento dei giovani compie una scelta ponderata.

Non a caso uno dei problemi dell’università italiana è il numero alto di abbandoni. Oltre che la sensibile distanza tra la durata reale e quella legale dei corsi di studio. Certamente università e scuola hanno compiuto sforzi per migliorare le iniziative di orientamento. Che però ancor oggi sono troppo noiose. Inevitabile che i giovani facciano ricorso ad approssimative informazioni alternative. Raccolte tra amici più grandi e conoscenti. Con la famiglia che, nella grande maggioranza dei casi, spinge per scelte che puntano ad un inserimento nel mondo del lavoro rapido e ben remunerato. Sulla necessità di prendere cum grano salis le proiezioni sulle prospettive di inserimento nel mondo del lavoro è stato già detto molto.

La realtà socio- economica muta con una velocità tale da rendere molto discutibili le previsioni a sei-sette anni. Un fatto è certo. È il tempo della formazione permanente. Occorrerà studiare per tutta la vita. Salvo rischiare di trovarsi d’improvviso ai margini del mondo produttivo. La scelta è secca. Competere sul mercato internazionale del lavoro sul piano della conoscenza. O con il basso costo della mano d’opera. Prospettiva, quest’ultima, certamente deprimente per un paese delle nostre tradizioni culturali.

Quindi, ragazzo mio, dovrai studiare per tutta la vita. Qualunque sarà il tuo mestiere. L’avvocato o il dentista. Il magistrato. L’architetto. O il giornalista. E che vita sarà quella di chi si troverà costretto a studiare per tutta la vita una materia che non lo attrae o che addirittura detesta? Hic rhodus hic salta. Occorre aiutare i giovani a capire cosa piace loro. A scoprire i loro talenti. Le loro propensioni. Ne va della qualità della vita.